L’ho vista la felicità spesso attaccata come cozza allo scoglio della paura.
Come quando ho avuto mia figlia, che per vederla mi son davuta far prima
infilare un ago lunghissimo nella schiena e avevo talmente paura che la voce per dire che avevo paura non mi veniva fuori.
E poi l’ho vista che non c’era gioia più grande.
Come quando ho baciato R. in quel bagno di nascosto al mondo e quel bacio l’ho pagato con anni di canzoni di De Andrè, con gambe escoriate e consapevolezze ustionanti.
Come quando ho aperto la porta a G. E gli ho fatto bere le mie lacrime e ho assaporato la gioia di una rinnovata adolescenza e, bevuta l’aria che mi aveva dato, l’ho trasformata in nuvole di ricordo. Di ricordo che brucia ancora.
Come quando, assaporata la vita in tutte le sue possibilità, in un’America dove da Pollicina mi son sentita poi Golia, nel trasformarmi da ciò che avevo paura di essere a ciò che potevo essere son diventata più che ovunque quel che sono.
A prezzo di paure incalcolabili ho provato gioie che non tutti conoscono.
Come quando inchiodata al dolore di una madre che non voleva vivere, ho dovuto trovare ragioni per vivere a me e a lei e potete giurarci che le ho trovate.
E quindi dico vaffanculo al cinismo da quattro soldi di chi non ha neanche iniziato a vivere, vaffanculo all’arroganza che si veste di sapienza superiore di chi non sa stare al mondo, vaffanculo ai falsi maestri e a tutti quelli che so tutto io e non hanno
messo mai il naso fuori da se stessi, vaffanculo a chi non capisce un sorriso perchè è duro dentro e vaffanculo a me che non dico vaffanculo più spesso.